lunedì 14 marzo 2016

I PILOTI DELLA REGIA AERONAUTICA ”Adriano Visconti“

I PILOTI DELLA REGIA AERONAUTICA

”Adriano Visconti“


La storia di Adriano Visconti, nasce oltre i confini Italiani ed esattamente nasce proprio dal colonialismo Italiano che nei primi anni del novecento si trovarono ad occupare parte del nord Africa, fino alla Somalia ed Eritrea, tutto questo sulla scia di ciò che stava accadendo in Europa in quegli anni, con la Gran Bretagna in testa, anche Francia e Germania cercavano di mettere le mani su territori considerati di libera conquista infischiandosene dei legittimi proprietari o abitanti.
Questo colonialismo, fu in parte giustificato proprio dalle condizioni degli abitanti di quei luoghi, per lo più indigeni, divisi in tribù con un basso senso della nazionalità.
Quindi, anche l’Italia si sentì, in qualche modo, autorizzata a questa corsa verso la conquista di nuovi possedimenti, anche se per lo più si trattava di terre brulle e con basso valore economico/commerciale, tanto basso da chiedersi cosa erano andati a fare proprio in quei posti, ma si sa, la Gran Bretagna, prima fra tutti, era presente con colonie oltre confine e quindi si rendeva necessario che anche l’Italia ne possedesse alcune, anche se gli Inglesi, molto più furbi, si erano assicurati colonie molto più redditizie a partire dall’Egitto, controllando il canale di Suez e con esso tutto il traffico navale che ne conseguiva, da tenere presente che l’importanza strategica di Suez era dettata anche dal fatto che gli Inglesi avevano come colonia anche l’India e quindi si rendeva necessario per il traffico marittimo assicurarsi un passaggio verso il Mediterraneo, dall’Oceano Indiano, senza fare il periplo dell’intera Africa doppiando capo di Buona Speranza in Sudafrica.
La maggior concentrazione Italiana, invece, fu presente in Libia, zona pressoché desertica e di scarso valore economico, questo perché il suo enorme valore era nel sottosuolo ed a quell’epoca l’ultima cosa a cui avrebbero pensato era proprio scavare sotto terra ed estrarre il petrolio, ne avrebbero trovato in enorme quantità. Comunque, proprio sulla scia del colonialismo, molti Italiani si trasferirono oltre i confini Italiani, anche la famiglia Visconti si trasferì e prese residenza in Libia, a Tripoli, e proprio a Tripoli Galeazzo Visconti e Cecilia Dall’Aglio diedero vita l’11 di Novembre del 1915 ad Adriano Visconti. Cresciuto sotto lo spirito colonialistico dell’epoca, Adriano, frequentò le scuole proprio a Tripoli e si distinse sempre per il suo attaccamento alla patria Italiana, proprio per il fatto di non essere direttamente in Italia e in Italia in quel periodo c’era il fascismo, quindi si sentiva un gran fermento nell’aria, Italo Balbo con le grandi traversate Mediterranee prima e Atlantiche poi, portò alla ribalta mondiale l’Italia. Nel 1935 Italo Balbo fu nominato da Mussolini Governatore della Libia, sostituendo il Generale Badoglio, anni in cui Adriano Visconti terminava gli studi liceali. Balbo non prese bene questa nomina, ma fu la diretta conseguenza dei suoi successi in campo estero e dei buoni rapporti che intratteneva sia con gli Stati Uniti che con altri stati Europei, forse Mussolini temeva ed a ragione, di essere messo in ombra proprio da Italo Balbo.
La Libia in quel periodo era divisa in due regioni, la Tripolitania e la Cireanica, Balbo si adoperò per unificarle e raggiunse accordi con gli stati confinanti, la Tunisia e l’Egitto controllati rispettivamente dalla Francia e dall’Inghilterra e questo non fece che aumentare il dissenso di Mussolini.
Lo spirito nazionalistico Italiano dell’epoca, finì per coinvolgere anche Adriano Visconti, tanto che si iscrisse all’accademia militare di Caserta. La vita militare all’interno dell’accademia mise a dura prova Visconti, un giovanotto dal temperamento forte e con un profondo senso della giustizia, non sempre contemplato nella vita militare, ciò nonostante, terminata l’accademia rientrò in Libia nel 1939 facendo parte del 50° stormo. Con l’entrata in guerra dell’Italia, Visconti iniziò a prendere parte alle ostilità, prima con gli assaltatori Breda Ba-65 e poi passò ai caccia Macchi 200, con continui impegni di scorta ai bombardieri in missione su Malta. Molti furono gli scontri con gli aerei da caccia Inglesi presenti sul Mediterraneo e spesso lanciati dalle portaerei Inglesi. Le missioni a cui Visconti era chiamato a partecipare, lo vedevano spesso impegnato in voli di ricognizione fotografica, scorte a convogli navali oltre alle missioni su l’isola di Malta. I caccia MC-200 non considerati più idonei al servizio di caccia, furono modificati con l’impiego di piloni subalari per trasformarlo in cacciabombardiere e Visconti iniziò anche missioni di bombardamento.
La pressione su Malta, da parte degli Italiani, ben presto diminuì e gli Inglesi poterono trasferire sull’isola una gran quantità di aerei, riuscendo a difendere con più facilità l’isola ed i convogli in transito nel canale di Sicilia. La campagna di Malta e del Mediterraneo durò fino a tutto il 1942, i piloti Italiani che fino a quel momento si erano battuti sui caccia MC-200 e Fiat CR-42 iniziavano ad essere messi in seria difficoltà dai più efficienti Hawker Hurricane e Spitfire, con i pochi MC-202 per lo più equipaggiati per rilievi fotografici, erano stati scelti proprio i 202 per questo tipo di ricognizione, per il motivo che poteva trarsi di impaccio molto rapidamente e poi poteva affrontare ad armi pari i caccia Inglesi, infatti fu proprio su questo tipo di velivolo che Visconti ottenne i suoi primi successi nei voli per rilievi fotografici, in un volo di ricognizione fotografica intercettò un paio di Bristol Blenheim in procinto di attaccare del naviglio Italiano, l’attacco ebbe successo ed un Cacciabombardiere Inglese precipitò in fiamme e l’altro fu seriamente danneggiato in seguito al mitragliamento da parte di Visconti, le navi Italiane, grazie all’intervento di Visconti riuscirono a non riportare danni. Proprio per le deficienze croniche degli MC-200 e CR-42, il 7° gruppo fu richiamato in Italia per essere inviato Torino Caselle a ritirare dei nuovi Macchi 202, in modo da riorganizzare il 7°, oltre ai 202 furono assegnati anche nuovi rimpiazzi, giovani piloti appena usciti dall’accademia e quindi si rendeva necessario un addestramento specifico sui 202. Il comando della 76° squadriglia, fino a quel momento del Capitano Calisti, passò a Visconti con cambio di nomina da Tenente a Capitano, il Capitano Calisti fu inviato al 1° stormo riorganizzato con il nuovissimi caccia Macchi MC-205 Veltro. Lasciato Torino Caselle, il 7° gruppo si trasferì in Tunisia. Con i 202, i piloti Italiani ebbero modo di affrontare i caccia Inglesi ad armi pari, negli scontri che susseguirono, sia Visconti che i piloti della sua squadriglia ebbero la meglio su molti caccia Inglesi, ben presto, agli Inglesi si aggiunsero anche gli Americani, dotati dei bimotore P-38 Lightning, i quali in numerose formazioni attaccarono a più riprese le formazioni Italiane, in special modo venivano attaccati i trimotori S.M. 82 da trasporto, con a bordo i rifornimenti di carburante e personale, in questi attacchi, purtroppo i trimotori erano per lo più scortati dai Macchi 200, ed i P-38 avevano vita facile abbattendo gran parte degli aerei Italiani. La sorte della guerra in Africa settentrionale sembrava ormai segnata a favore degli alleati, sia i Tedeschi che gli Italiani erano ormai in ritirata e gli aeroporti, presi di mira dai velivoli alleati, non erano più utilizzabili, inoltre i velivoli in condizione di volare erano rimasti molto pochi, il 54° stormo contava poco più di una decina di MC-202 di cui la metà del 7° stormo. I preparativi per il rientro in Italia dalla Tunisia erano imminenti, il mese di Maggio del 1943 vide la fine dell’avventura Italiana e delle sue colonie, il personale di terra ed i piloti non avrebbero trovato posto sui pochi velivoli rimasti, quindi, furono scelti i piloti che si erano distinti maggiormente in battaglia e fu anche proposto di sottrarre alla prigionia gli avieri specializzati che avrebbero potuto trovare posto nei caccia decollando in due per ogni velivolo, con il pilota seduto sulle gambe del passeggero, purtroppo questo intento di salvare più uomini possibili non fu accolto dal comando, il quale stupidamente, aveva deciso di attenersi strettamente agli ordini ricevuti. A tutto il resto del personale fu dato ordine di cercare in ogni modo di sottrarsi alla prigionia. Preparati gli aerei per la partenza, i piloti decisero all’ultimo momento di imbarcare a bordo un passeggero ciascuno, i velivoli decollarono alla volta della Sicilia, cercando di atterrare a Catania, Sciacca e Castelvetrano, ma era imperativo fare scalo a Pantelleria e rifornirsi e ripartire per la Sicilia, anche i Tedeschi cercavano alla meglio di riparare in Sicilia e riuscirono ad alloggiare fino a quattro persone all’interno dei caccia Bf. 109, smontando vari pezzi e pannelli, il personale specializzato era molto prezioso e quindi il comando Tedesco diede ordine di salvarne il più possibile. Adriano Visconti partì per ultimo, essendo il suo velivolo danneggiato e quindi gli specialisti lavorarono alacremente per permettere al Capitano Visconti di lasciare l’Africa Settentrionale, in quel momento si concludeva definitivamente il connubio Visconti/Libia, non era esattamente come avrebbe voluto, gli eventi della Guerra non permisero altre alternative ed a una persona con un profondo senso dell’onore, come Visconti, questa fuga bruciava molto più di mille sconfitte in altrettanti combattimenti in volo. Una volta in Sicilia, Visconti fu assegnato al 150° Gruppo e gli fu dato il comando della 310° squadriglia con compiti sia di caccia che di ricognizione fotografica e questo perché Visconti aveva già dato prova nel 1942 di missioni simili. Per questo compito furono affidati a Visconti ed ai suoi gregari di squadriglia i nuovi caccia Macchi 205 Veltro, per l’occasione furono fatte numerose modifiche, furono tolti i serbatoi alle spalle del pilota e sostituito l’impianto radio, fu installato un apparecchio fotografico del peso di quasi cento chili di tipo Zaiss, fu modificata la parte inferiore della fusoliera per permettere le riprese fotografiche e tutto l’impianto fotografico era debitamente riscaldato per evitare problemi di inceppamento date le bassissime temperature che si trovavano a 10.000 metri di altezza, la pellicola impiegata era di dimensioni 300X300 mm in rotolo, inoltre, per mantenere un’autonomia accettabile, l’aereo fu provvisto di serbatoi supplementari subalari. La Squadriglia fu trasferita all’aeroporto di Decimomannu in Sardegna e con tre velivoli appositamente attrezzati per rilievi fotografici, Visconti iniziò le missioni sul canale di Sicilia, Tunisia e Algeria, questo per monitorare il grande fermento che gli alleati stavano compiendo in quelle zone, compreso lo sbarco in Sicilia. Nonostante che il 25 Luglio del 43′ l’Italia firmò l’armistizio con la destituzione di Mussolini e la nomina di Badoglio a capo del governo, Visconti continuava a seguire gli ordini che gli arrivavano dai suoi superiori e quindi continuò a combattere contro gli alleati, questo per lui significava rimanere fedele al giuramento fatto appena entrato in Aeronautica verso il governo di allora, quello di Mussolini, la sua idea politica e militare era stata forgiata nel periodo fascista e non conosceva altra strada che seguire quella intrapresa all’inizio della sua carriera e molti anni prima, quando era ragazzo, gli ideali nei quali credeva erano quelli del Re e del fascio, non poteva di punto in bianco ribaltare tutte le sue convinzioni, tutto quello in cui aveva creduto fino adesso, non poteva dire è finita abbiamo sbagliato tutto, ha creduto fino in fondo in quello che faceva ed era giusto così e adesso? Non si può cambiare bandiera, se la strada intrapresa da Visconti adesso era irta di pericoli, se adesso gli alleati avanzavano ogni giorno di più, non era una buona ragione per tirarsi indietro, quando la nave affonda, si dice che i topi scappano, ma Adriano Visconti non era un topo, lui non scappava, per lui quello che era buono ieri era buono anche oggi. La caparbietà e il senso dell’onore inteso come, quando si sceglie una strada la si deve percorrere fino in fondo, erano profondamente radicati in Visconti, lui non accetterà mai compromessi, per lui non esisteranno le sfumature di grigio, per lui ci sarà solo il bianco ed il nero! Purtroppo per Visconti, non sempre è così, a volte è saggio ritornare sui propri passi e riflettere su cosa si sta facendo, i tempi mutano e con essi anche le idee, inoltre Visconti, non avrebbe avuto niente di cui doversi scusare o farsi perdonare, lui era un combattente ed eseguiva gli ordini e non politico od un gerarca fascista, ai quali si potevano imputare gravi responsabilità.
Fu proprio questo profondo senso del dovere e riconoscenza verso lo stato fascista, che Visconti continuò a combattere come aveva sempre fatto. Iniziò così a fare missioni di ricognizione fotografica, partendo dalla Sardegna in poco più di 30 minuti erano già sulla Tunisia, quindi un volo abbastanza breve, le missioni si susseguirono in modo di poter raccogliere più materiale possibile per formare le carte che indicavano la presenza degli alleati, sorvolando Cartagine si poteva osservare la presenza di un nutrito naviglio e subito dopo, sopra l’aeroporto che conoscevano bene, quello di El Alouina dove gli Italiani avevano stazionato a lungo; c’era da sforzarsi per riconoscerlo, da 10.000 metri non sembrava più neanche la base dove tante volte erano partiti per svolgere missioni sul Mediterraneo, gli aerei che si potevano osservare in questo frangente, parcheggiati, erano un’infinità, più che un aeroporto di guerra sembrava una grande manifestazione aerea, impressionante la grande quantità di aerei presenti, volare sopra la base, adesso Americana, non presentava pericoli, ormai gli Americani consideravano lo spazio aereo completamente conquistato e quindi non si aspettavano nessun intruso e probabilmente quelli sarebbero stati, comunque gli ultimi voli degli Italiani su quei cieli. In una missione di questo tipo, dopo aver scattato le fotografie, il Sergente Laiolo si diresse verso Biserta ed il porto presentava una gran quantità di navi e mezzi da sbarco di ogni tipo, li però, Laiolo venne accolto dalle cannonate della contraerea, continuò a scattare le foto e poi diresse nuovamente verso la Sardegna, ma notò che di colpo la contraerea smise di sparare, tutte quelle nuvolette bianche svanirono improvvisamente, poteva sembrare un buon segno e invece non lo era, guardandosi attorno più volte, alla fine riuscì a scorgere un gruppo di caccia che andavano esattamente verso la sua direzione, dei puntini che man mano che scorrevano i secondi diventavano sempre più grandi prendendo le sembianze proprio di caccia. I 10.000 metri a cui volava gli furono subito di aiuto, tutta manetta ed il Veltro leggermente a picchiare, bastarono pochi secondi per leggere nell’anemometro 700 Km/h, in un baleno era sul canale di Sicilia e gli inseguitori non riuscivano a guadagnare neanche un metro, in aperto mare decisero di rinunciare all’inseguimento ed il motore del Veltro poté finalmente trarre un po’ di respiro, con il motore a mezza manetta Laiolo raggiunse le coste della Sardegna e subito dopo prese terra alla base di Decimomannu, mentre Visconti lo aspettava assieme ad altri compagni. Con l’8 Settembre, venne ufficializzata la posizione del governo Italiano, era l’armistizio! Visconti, a capo di una sezione che dipendeva direttamente dallo Stato Maggiore vista la segretezza delle ricognizioni che effettuavano, cercò di avere degli ordini, ma invano, da Roma giungevano solo poche e frammentarie notizie, inoltre alla base dove si trovava Visconti, il personale iniziava a defilarsi e molte postazioni rimanevano vuote, da considerare che proprio in quel periodo Visconti ed altri piloti sarebbero dovuti rientrare a Roma in licenza per via del termine dei turni svolti e sempre a Roma avrebbe dovuto incontrare i suoi familiari rientrati dalla Libia dopo il ritiro delle truppe. Le discussioni sul da farsi diventavano sempre più accese, Visconti propose di rientrare a Roma con i tre Veltro per ricognizione fotografica, ma a questo punto si fecero sentire anche gli specialisti che non intendevano rimanere in Sardegna, sopratutto con i Tedeschi che non avevano preso bene la storia dell’armistizio e quindi si accingevano ad occupare la base Italiana a suon di cannonate e trovarsi li, in quel frangente non era certo salutare, però i caccia erano tre e pure monoposto, quindi la soluzione era solo una! Ma, ancora una volta gli specialisti scelti per rimanere a terra fecero notare a Visconti ed agli altri due piloti che nella ritirata dalla Libia nei Macchi presero posto in due ed in questo caso si poteva rimuovere le apparecchiature fotografiche contando sul fatto che avevano a disposizione i serbatoi alari e che i Tedeschi nei 109 riuscirono a caricare fino a quattro persone ! Dopo un rapido consulto dei tre piloti, conclusero che tutto sommato i rischi a cui andavano incontro erano più o meno come quelli presi in tante altre missioni, quindi informarono gli specialisti di preparare gli aerei smontando quello che si riteneva necessario e i nove specialisti riuscirono a lasciare la base a bordo del Veltro, uno seduto sul sedile del pilota e quest’ultimo seduto sulle sue gambe, mentre gli altri due trovavano posto nella postazione della macchina fotografica uno difronte all’altro dopo aver posizionato delle tavole per sederci e per non interferire sui cavi di comando del timone e piani di quota. Stabilito il piano di volo per il rientro nel Continente, alle prime luci dell’alba del 9 Settembre, Visconti ,ed i sui due gregari decollarono dalla pista di quasi 2 Km di lunghezza, una delle più lunghe che si trovavano in Italia, quindi, nonostante il carico il decollo riuscì senza incertezze. Appena in volo, il comandante dell’aeroporto, Fanali, li vide passare sopra la propria testa e capì che rientravano a Roma, rimase male del fatto che Visconti non gli avesse comunicato la sua decisione, ma in quelle circostanze, capì che si trattava solo una formalità. La via per il rientro fu decisa in base alle condizioni di volo dei tre Veltro, avendo scaricato paracaduti e battellini di salvataggio, dovevano per forza passare per la via che prevedeva il tratto di mare più corto, quindi verso nord, attraversare la Corsica e poi verso l’isola d’Elba, quindi a sud verso Roma. Dovevano fare particolare attenzione alla pista di Guidonia, lunga appena 900 metri e con il baricentro dei 205 Veltro, spostato e in quelle condizioni di volo non dovevano assolutamente arrivare lunghi. Il primo a presentarsi per l’atterraggio fu Visconti, nonostante tentò di smaltire la velocità e toccare terra in testata pista, era sempre troppo veloce ed in prossimità del fine pista dovette riattaccare sfiorando le costruzioni ai margini del campo, per secondo scese Sajeva, anch’esso lungo ma decise di poggiare le ruote a terra e dopo essere uscito di pista terminò la propria corsa al limite delle recinsioni esterne, toccò poi al Sergente Laiolo che dopo aver visto i due compagni si presentò in testata pista quasi stallato riattaccando poco dopo e concludendo la manovra di atterraggio perfettamente, per ultimo scese Visconti, ancora troppo veloce, ma una volta posate le ruote a terra e sfruttando al massimo i freni riuscì a rallentare l’aereo ma non senza entrare in un hangar, fortunatamente vuoto e quindi terminare il volo. Il personale di terra, viste le manovre di atterraggio rimasero perplessi, ma dopo aver visto uscire dai tre caccia oltre dieci persone, capirono immediatamente la situazione.
A Guidonia si erano radunati altri piloti Italiani, per lo più senza ordini, come Il gruppo di Visconti, anche l’8° gruppo equipaggiati con obsoleti Macchi 200 Saetta erano in attesa di ordini che però da Roma non arrivavano. Oltre alla confusione, all’orizzonte si profilava anche il pericolo dei Tedeschi, che capita la situazione cercavano, con la forza, di occupare tutti i campi militari Italiani pervenendo che potessero allearsi con gli Americani ed Inglesi e quindi trovarsi a combattere anche contro di loro, anche l’aeroporto di Guidonia era nelle mire Tedesche, a quel punto i pochi ufficiali alti in grado, dettero l’ordine di trasferire più aerei possibili a nord di Roma, dove la presenza Tedesca non era ancora massiccia, l’intero 8° gruppo equipaggiato con i Macchio 200 ricevette l’ordine di trasferirsi in Sardegna prima ed in Sicilia dopo, quella al momento era la rotta più sicura. Visconti con i due gregari non poterono far altro che stare a guardare, visto che i loro tre MC-205 erano mancanti di molti pezzi , smontati per il trasferimento dalla Sardegna a Guidonia. Intanto a Roma, presso il ministero la confusione era totale, nessuno riusciva a mettersi d’accordo sul da farsi, gerarchi fascisti tentavano di costituire una nuova forza armata, denominata Repubblica Nazionale, visto che ormai il Re si era definitivamente defilato all’estero non c’era più motivo di considerare l’Italia una monarchia. Con la liberazione di Mussolini dal Gran Sasso da parte dei Tedeschi, i gerarchi fascisti più insistenti e fedeli a Mussolini, riuscirono a convincere parte dei militari a costituire la Repubblica Nazionale Italiana e con essa l’Aeronautica Nazionale Italiana, furono subito presi contatti con i piloti e gli specialisti per organizzare la nascente Aeronautica Nazionale, ormai molti erano stati spediti al sud a cooperare con gli alleati e su quel personale non si poteva più contare, ma su quelli rimasti fu fatta una certa pressione psicologica e patriottica e Visconti non rimaneva certo indifferente al patriottismo e accetto di buon grado a partecipare alla ricostruzione dell’Aeronautica Italiana. Fu nominato Rodolfo Graziani come ministro della difesa che riuniva, per praticità e mancanza anche di persone qualificato, tutte e tre le forze armate, insediando però dei sottosegretari per ogni arma. Per l’Aeronautica fu scelto Ernesto Botto, conosciuto e stimato da tutto l’ambiente Aeronautico. Botto non era di fede fascista e non ne aveva mai fatto mistero, ma anche lui dovette scegliere se accettare o essere deportato in Germania.
Quindi, Botto si apprestava a ricostituire le squadre aeree con dislocazione per lo più nel settentrione e con qualche aereo nella zona di Roma, ormai diventata città aperta, aperta a tutti quelli che sarebbero riusci a conquistarla. L’incitamento di Botto fece breccia specialmente nei patriotti che vedevano ancora le forze alleate come invasori, Visconti inviò subito una richiesta di poter ricostituire la 310° Squadriglia con il compito di difendere le città Italiane dai bombardamenti alleati, proprio quello che i gerarchi fascisti volevano sentir dire. Fu così proclamata la ANR ( Aeronautica Nazionale Repubblicana) in seno alla neocostituente RSI ( Repubblica Sociale Italiana) o anche definita Repubblica di Salò, visto che fu proclamata proprio nella città della provincia di Brescia. I Tedeschi, pero, sono di tutt’alto avviso e intendono rischierare le forze aeree Italiane sotto il comando Tedesco, all’epoca il comandato in Italia dell’aviazione Tedesca era sotto Wolfram Von Richthofen, cugino del famoso aviatore della Prima Guerra Mondiale, ma Botto si impose affinché la ANR rimanesse sotto il comando Italiano, riuscendoci. In Italia del nord furono quindi costituite tre Squadriglie, di cui una sotto il comando di Visconti, “ L’ASSO DI BASTONI” tutte e tre con sede a Mirafiori ( Torino) le altre due Squadriglie furono intitolate a “ VESPA ARRABBIATA “ e “ ARCIERE” a ricordo di altrettanti gruppi famosi. Le tre Squadriglie potevano contare finalmente su dei mezzi validi, aggiornati con motori Tedeschi di ultima generazione come il DB-605 e nuovi cannoncini da 20 mm sempre di produzione Tedesca, Inoltre già dalla metà del 43′ erano entrati in servizio i nuovi caccia serie “ 5 “ oltre ai 205, anche i Fiat G-55 ed i Reggiane RE-2005, anche se in quantità limitate e tutti con colore metropolitano verde oliva uniforme, anche la collaborazione con i Tedeschi si fece più stretta e gli Italiani affinarono le tecniche di combattimento. I decolli su allarme dei caccia Italiani servivano per intercettare i bombardieri alleati che si dirigevano sia sulle principali città del nord Italia che in Germania, sempre scortati dai P-38 e tutti ad una quota di 9000 metri, mentre i piloti Italiani giungevano a quota quasi 10.000 metri per avere il vantaggio della picchiata, gli abbattimenti tra le fila alleate risultavano molto pesanti, sia dei caccia di scorta che dei bombardieri stessi, questo tutto a scapito di una rapida soluzione finale del conflitto, con la strenua difesa del territori, Visconti ed i suoi piloti non facevano altro che protrarre le sofferenze di un paese ormai in agonia e questo, la popolazione delle città dove risiedevano i caccia Italiani, non lo vedeva di buon occhio, entrando apertamente in contrasto con più volte con tutto il personale degli aeroporti militari, per contro Visconti non capiva il loro comportamento, combattevano duramente per impedire i bombardamenti alleati sulle città del nord Italia, stavano difendendo la popolazione di quelle città e questo era il ringraziamento? Purtroppo Visconti non aveva più un quadro completo ed obiettivo della situazione .Per porre rimedio alla falcidia di bombardieri, il comando alleato impiegò i P-47 Thunderbolt, dotati di otto cannoncini e con una rosa di tiro ampia, riducendo così il margine di errore di tiro, ma il problema non venne risolto, le Squadriglie Italiane difendevano strenuamente le città . Si rese allora necessario di dover intervenire alla radice del problema, i comandanti di Squadriglia
E se i comandanti di Squadriglia erano entrati nel mirino degli alleati, Botto era entrato nel mirino di Farinacci, gerarca fascista, il quale non vedeva di buon occhio Botto, sempre pronto a dire la verità infischiandosene della propaganda fascista, Botto fu sostituito da Arrigo Tessari alla carica di sottosegretario di stato per l’Aeronautica, mentre dall’altra parte il comando Aeronautico del Sud, sotto pressioni degli alleati, inviò degli infiltrati per convincere i piloti Italiani della ANR a rischierarsi con l’Aeronautica del Sud, per questo il tenete Beretta avvicinò Visconti, il colloquio però non ebbe svolti positivi, Visconti fece notare a Beretta che per lui ormai non c’era altro da fare che continuare quello che stava facendo, si riteneva troppo compromesso, anche per il fatto di di aver scelto di combattere, tutto sommato, contro l’Aeronautica Italiana del Sud anche se non direttamente e quindi non si fidava, nonostante le rassicurazioni di Beretta, del comando Italiano e sentiva il suo futuro in seno a tale arma minato. Queste considerazioni fecero però riflettere Visconti, tanto da presentare una serie di richieste e chiarimenti, per altro chiarimenti voluti fortemente da tutto il personale della Squadriglia, al Sottosegretario Tessari, richieste che comprendevano di dividere le operazioni dai Tedeschi, intendendo di difendere solo le città Italiane e non intervenendo sui bombardieri diretti in Germania, inoltre voleva che i gerarchi fascisti uscissero dalle decisioni delle operazioni militari e che molti messi a controllarli all’interno dell’aeroporto se ne andassero definitivamente e che il governo intervenisse e ponesse termine alle continue deportazioni in Germania di cittadini Italiani, anche se incriminati dovevano restare in Italia. Purtroppo per Visconti, Tessari non prese bene queste richieste e disse chiaramente; chi vuole restare a combattere bene, mentre chi si vuole ritirare ne subirà le conseguenze, alcuni preferirono le conseguenze che continuare una cosa che non riuscivano più a capire, mentre altri, tra cui il Tenente Colonna si fece promotore per continuare, Visconti non prese bene la decisione di Colonna, anche perché un suo sottoposto e la lettera era stata presentata da Visconti ma con tutti d’accordo e Visconti non digeriva bene i ripensamenti, come aveva già ampiamente dimostrato. Informato Mussolini, da Tessari, del malumore e la sfiducia che andava diffondendosi tra le file dell’ ANR e con proprio Visconti come porta voce. Ancora una volta, a Visconti non restava che continuare quello che aveva iniziato. I continui bombardamenti alleati avevano messo fine al rimpiazzo di nuovi aerei, quindi non rimaneva che equipaggiarsi con caccia Tedeschi ed i Tedeschi erano coscienti che se non avessero fornito loro i caccia, non avrebbero più potuto contare su di loro. Per questo motivo un gruppo di piloti Italiani furono trasferiti in Germania per l’addestramento sui Me-109 K , con essi Visconti. Durante l’addestramento, furono selezionati alcuni volontari per addestrarli al volo sul Me-163 Komet, per un eventuale stanziamento nel Veneto ad intercettare i bombardieri alleati alla volta della Germania, ma la rapida avanzata Russa non permise a questa operazione di essere completata. Visconti e il suo gruppo, nei primi mesi del 45′ fu trasferito presso gli aeroporti di Lonate Pozzolo e Malpensa con i loro Me-109 G e K , gli scontri non avevano tregua, continui allarmi su intercettazioni di B-25 che bombardavano sistematicamente la rete ferroviaria, scortati sempre dai P-47. In un intercettazione nei pressi di Bolzano di una formazione di B-25, Visconti con altri gregari attaccarono la formazione Americana, ma ebbero subito addosso i P-47, nello scontro un gregario di Visconti colpì un P-47 e nel tentativo di finirlo non fece caso al suo gregario che a sua volta colpì il caccia Italiano, non restò che gettarsi con il paracadute, ma la bassa quota non permise l’apertura, con il decesso del pilota Italiano, Visconti impegnato in un duello frontale incassò parecchi colpi e rimase ferito in varie parti del corpo e sul volto, i due caccia all’ultimo secondo virarono, il P-47 continuò il volo in modo disordinato ed a Visconti non rimase che gettarsi col paracadute, dopo l’ammutolimento del propulsore. Le ferite furono curate e Visconti rientrò alla sede. Ormai gli aerei scarseggiavano e su un allarme partirono solo tre 109 con ai comandi Colonna, Brunello e Morandi, intercettarono un B-24 Liberator con livrea completamente nera, prima di iniziare l’attacco la contraerea colpì l’aereo di Morandi e non ci fu possibilità per il pilota Italiano, Colonna iniziò l’attacco ordinando al gregario di restargli in coda, aprì i fuoco e colpì da distanza ravvicinata il B-24, tutti i colpi penetrarono nella fusoliera devastandola, quindi sfilò via per un secondo passaggio, ma il Sergente Brunello, subito dietro a Colonna aprì anche lui il fuoco colpendo e spezzando un’ala, l’equipaggio del B-24 riuscì a lanciarsi fortunosamente e i due caccia rientrarono mentre si era innescata una lite tra i due, Brunello accusava Colonna di averlo volontariamente sottratto all’attacco per prendersi tutti i meriti, una volta a terra la lite continuava accesa e solo l’intervento di Visconti placò gli animi, ma la lite si riaccese subito dopo l’assegnamento dell’abbattimento, il Sergente Brunello rivendicava l’abbattimento forte dall’ala tranciata a suon di colpi, mentre Colonna asseriva che era grazie alla devastante scarica di proiettili che il B-24 era caduto, non sapendo come venirne a capo dopo ore di trattativa, visconti mise fine alla discussione assegnando l’abbattimento alla memoria di Morandi. Mentre per il combattimento, Colonna ricevette la Croce di ferro Tedesca, Brunello preferì non commentare l’onoreficienza ricevuta da Colonna. Colonna fece vista all’equipaggio Americano del B-24 catturato dai soldati Italiani, questo perché parlava bene l’Inglese e voleva avere notizie fresche di cosa stava accadendo, anche se poteva ben immaginarlo, il comandante del velivolo Americano, una volta presentatosi con Colonna gli chiese se aveva, durante l’attacco, avuto intenzione di entrare in collisione visto la bassa distanza a cui aveva condotto l’attacco e inoltre disse di ammirare il coraggio dei piloti Italiani in un momento dove, ormai tutto era perduto, Colonna gli chiese se immaginava quando avrebbe potuto durare ancora la guerra, l’Americano rispose; non più di una settimana. Il 24 Aprile, l’aeroporto di Lonate era solo un cimitero di mezzi e aerei pressoché distrutti, l’ultimo funzionante era quello di Colonna, tutto intorno si udivano colpi sparati dai partigiani, ormai con il completo controllo di quasi tutte le zone, Colonna era rimasto con il suo aereo nella speranza di farlo ripartire e riportarlo a Malpensa, un gruppo di avieri arrivati con un camion, cercarono di convincere Colonna a rientrare a Milano con loro, visto che ormai tra i partigiani e l’ANR era stata firmata una tregua, Colonna rifiutò e con l’aiuto di due avieri cercarono di far partire il motore del 109, ma senza successo, alcuni partigiani che iniziavano a farsi vivi all’interno dell’aeroporto videro la manovra e si prodigarono anche loro per far partire il motore girando una faticosa manovella, alla fine l’aereo si mise in moto e Colonna poté decollare alla volta di Malpensa, dove Visconti lo attendeva. Ormai tutto era precipitato, i Tedeschi si arrendevano e Visconti aveva capito la scomoda situazione in cui si trovavano, quindi decise di radunare tutti i componenti dell’ANR presso Gallarate e barricarsi all’interno dell’istituto tecnico ed aspettare l’arrivo degli Americani ed arrendersi solo a loro in qualità di militari e non trattare assolutamente con i partigiani, ma una delegazione di partigiani si presentò all’aeroporto e intimò a tutti gli occupanti di arrendersi, la risposta di Visconti non si fece attendere, il suo volere era di attendere ordini e di arrendersi solo agli Americani, le trattative per la resa continuarono fino all’arrivo di due ufficiali dell’Aeronautica Italiana del Sud, che adesso era solo Aeronautica Italiana, Visconti presentò le richieste per la resa, il possesso delle armi, il mantenimento dell’ordine pubblico e la partecipazione alla ricostruzione della nuova Aeronautica Italiana. Le proposte non vennero accolte, Visconti ed i suoi si erano spinti troppo oltre, la strenua resistenza fatta non era piaciuta a nessuno e adesso non potevano più permettersi di dettare delle condizioni. Visconti poteva solo sperare nella clemenza per se e per i suoi uomini, che i partigiani avrebbero avuto. Clemenza che poteva andar bene per i suoi uomini di cui si sentiva responsabile, ma non clemenza per se stesso, un uomo che aveva anteposto l’onore a tutto il resto non chiede clemenza. Visto che le trattative non portavano a nessuna risoluzione, i partigiani decisero di mettere sotto assedio l’aeroporto e chiesero a tutti gli uomini all’interno di deporre le armi e di arrendersi incondizionatamente, con l’intenzione di trasferirli tutti a Milano senza garanzia alcuna per la loro incolumità, gli ufficiali del comando dell’ANR a Milano erano già troppo impegnati a salvare lo loro di vita, quindi Visconti non poteva più sperare in un loro aiuto e il comando della neo Aeronautica Militare Italiana non mostrava alcun interesse per persone che si erano rifiutate fino all’ultimo di rientrare a far parte dell’Aeronautica cobelligerante, senza più carte da giocare, Visconti, accettò il trasferimento a Milano solo se restavano armati e voleva trattare la resa solo con il Generale Sala, la risposta gliela portò il Capitano Serego, inviato dal Generale Cadorna, resa senza condizioni e offriva a Visconti la possibilità di riportarlo con se a Milano per metterlo in salvo , Visconti ancora non lo sapeva, ma su di lui in quei giorni, era stata emessa una sentenza di condanna a morte. Il secco rifiuto di Visconti interruppe le trattative, non poteva mettersi in salvo lasciando i suoi uomini in così grave pericolo, ormai le speranze di uscirne con qualche possibilità di salvezza erano ridotte al lumicino e Visconti non sapeva più che pesci pigliare. Il 29 Aprile Visconti accettò di consegnare le armi e tutti i suoi uomini vennero lasciati liberi di ritornare a casa, mentre gli ufficiali furono trasferiti a Milano con la promessa di poter presentare la resa in presenza del Generale Cadorna, le ingiurie che dovettero subire da parte dei cittadini Milanesi, fecero a Visconti più male di mille proiettili. Una volta a Milano, gli ufficiali vennero accompagnati alla Caserma Savoia in via Vincenzo Monti, contrariamente alle promesse appena fatte, non vennero accompagnati in Caserma dalle persone con cui avevano stipulato gli accordi e nemmeno l’incontro con il Generale Cadorna sembrava più in essere, dopo la consegna della pistola di ordinanza da parte di tutti gli ufficiali, costretti dai partigiani. Gli ufficiali Italiani iniziarono ad essere divisi e Visconti fu spostato assieme a Stefanini in un altro salone, poi Visconti fu chiamato in un altra stanza ancora e andandoci rassicurò Stefanini che si tratterà del solito interrogatorio, invece poco dopo Stefanini sentì una raffica di mitra provenire proprio dalla stanza in cui era appena entrato Adriano Visconti e poi non sentì neanche la seconda raffica di mitra, questa volta destinata a lui. Gli altri ufficiali Italiani udirono le raffiche, ma con il caos che regnava nelle strade, quelle raffiche potevano venire da qualsiasi parte, invece avevano messo fine alla storia di Visconti assieme al compagno di armi Stefanini. Altri ufficiali seguirono la sorte del loro comandante, fino all’arrivo delle truppe Americane, dopo di che i sopravvissuti furono trasferiti in carcere e dopo la sentenza furono rilasciati sotto una condanna pecuniaria.
In questo modo finisce la storia del 1° gruppo caccia e la storia di Adriano Visconti, colpevole di aver fatto delle scelte che la storia non ha condiviso ed ha pagato in prima persona per quelle scelte, scelte che possono aver portato al prolungamento della guerra ed al prolungamento delle sofferenze di molti Italiani, la fine di Visconti fu considerata a tutti gli effetti un assassinio, forse in parte è vero ma dobbiamo anche comprendere i sacrifici dei partigiani e quanti di loro sono morti per liberare l’Italia dal giogo nazista e dalla follia fascista, in quelle situazioni tutte le regole erano saltate, l’umanità stessa delle persone era stata messa da parte e forse dimenticata per sempre.

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